Pubblichiamo un passo del romanzo
autobiografico di Alfredo D'Antoni "Un ideale, una storia"
scritto con Mirella Zomero e pubblicato nel 2012. Il frammento
ricorda con emozione intatta il ritrovamento, da parte di Alfredo
D'Antoni, della sepoltura del fratello nel Cimitero di San Daniele
del Friuli. * * *
Venni a sapere che mio fratello, il 28 aprile, era rimasto ferito a
Farla di Maiano, mentre con il suo gruppo cercava di contrastare la
ritirata dei Cosacchi e dei Tedeschi che provenivano da Fagagna.
Portato di nascosto perché partigiano all'ospedale di S.Daniele, lì
era stato abbandonato, lì era deceduto.
A chi rivolgermi per saperne di più? Non
c'erano carabinieri. Anche se ci fossero stati, non sarei mai andato
a chiedere informazioni di un partigiano scomparso alle forze che
avevano sostenuto il fascismo. In quei giorni di confusione totale,
i Comuni, come istituzione, erano implosi.
Il podestà era sparito. Non c'era alcuna
autorità, solo qualche impiegato.
Forse il parroco di S.Daniele poteva
aiutarmi, perciò mi recai da lui. Gli chiesi se alla fine di aprile
aveva celebrato un funerale. Il parroco, che presagiva il motivo di
quella domanda, mi rivolse uno sguardo serio e mesto: "Alla fine
di aprile mi hanno chiamato in gran segreto nell'ospedale, a
benedire cinque salme di persone a me sconosciute. Tra queste c'era
un giovane. Mi colpì la sua faccia da ragazzo e un piccolo ciuffetto
bianco che si intravvedeva a malapena tra i folti capelli neri che
gli incorniciavano la fronte. Portava al dito un anello".
Si allontanò un attimo e ritornò tenendo
tra le mani un cerchietto di acciaio con le iniziali "L.D": l'anello
che mio fratello con il tornio aveva ricavato da una moneta quando
era allievo alla scuola motoristi a Venezia.
Una pugnalata al petto. Dentro di me
maledii il duce, Badoglio, il re e tutti quei disgraziati che
avevano scatenato quella guerra assurda e infame, che aveva causato
tanti lutti e spezzato tante vite innocenti .
Come dirlo a mia madre che a quel figlio
aveva fatto da madre e padre? A mia madre che aveva passato notti
insonni sapendolo braccato, al freddo, affamato? A mia madre che
aveva fatto sacrifici immensi per allevarci?.
Mi feci prestare un camion dalla SFE e con
alcuni compagni di lavoro mi recai nel cimitero della cittadina
collinare. Prima però passai in Comune per avvertire che dovevo fare
una riesumazione. Un impiegato mi rispose: "Non comandate voi
adesso? Fate pure quello che volete".
Ero emozionatissimo. Chiuso in quel recinto
con davanti tutte quelle croci e lapidi mi sentivo soffocare. Mi
sembrava impossibile che mio fratello fosse lì nel regno della
morte, mentre fuori era scoppiata la primavera, allegoria della vita
che rinasce. Mio fratello doveva vivere, era giovane, perché tutto
questo? Perché tanti morti per conquistare la libertà che dovrebbe
essere un diritto inalienabile di ogni uomo?. Quando stavo per
essere sopraffatto dalla commozione, risentii nelle orecchie il
ritornello doloroso di mia madre:
"Portami a casa chel frut".
Raccolsi le forze e lasciandomi guidare
solo dalla fredda ragione, organizzai il lavoro. Sui cinque tumuli
che racchiudevano le salme sepolte da poco, nessuna iscrizione che
potesse darmi una informazione sulle persone sepolte. Bisognava
scavare. La terra era ancora tenera, non si era sedimentata. Una
badilata dietro l'altra in pochissimo tempo arrivammo alla prima
cassa. Aiutandomi con il piccone feci un pertugio nel coperchio
trattenendo il fiato, sbirciai dentro ...no, non era mio fratello.
Ricoprimmo la buca. Il cuore batteva così forte che sembrava volesse
uscire dal petto. Iniziammo lo scavo della seconda sepoltura.
Arrivati alla bara, ripetei l'operazione e rabbrividii vedendo che
si trattava di una donna.
Nessuno parlava. Le probabilità di trovare
mio fratello adesso aumentavano e io, anche se non lo lasciavo
intravedere, avevo paura, paura di scontrarmi con la cruda realtà.
Iniziammo lo scavo della terza sepoltura.
Quando, tastando con la pala, sentii il rumore sordo del legno,
chiesi di essere sostituito. Lasciai continuare un mio amico il
quale, riportato alla luce il coperchio, vi praticò un' ampia
fessura all'altezza della testa, poi uscì dalla fossa e mi aiutò a
scendere.
La tensione si poteva tagliare con il
coltello. Mi inginocchiai sulla bara, lentamente chinai la testa su
quello squarcio e come un lampo mi apparve quel ciuffetto grigio
così familiare. Chiusi gli occhi e trattenni a fatica un urlo di
disperazione.
Per un attimo rividi Luigi bambino, sempre
attaccato a me come fossi il suo papà. Lo rividi giovane partigiano,
determinato, coraggioso come nostro padre. Vederlo lì, con i suoi
diciannove anni, cereo, freddo, immobile, fu una visione
insostenibile.
Non riuscii a riportarlo in superficie come
volevo e chiesi ai miei compagni di farlo per me. Una volta la bara
fuori dalla buca, la caricammo sul camion e la trasportammo nelle
scuole di Colloredo dove venne allestita la camera ardente. |
La
tragica fine di mio fratello Luigi fu un colpo mortale per la mamma
che iniziò ad accusare vari malesseri. Un dolore malcelato ed
infinito si impossessò di lei e l'accompagnò per il resto della
vita.
Ancora alcuni anni dopo, in un cimitero
vuoto e solitario, la videro abbracciata al freddo marmo,
accarezzare la foto di Luigi e tra le lacrime gridare:
" Puar el
me frut, quanto male ti hanno fatto!." |
Il funerale di Luigi D'Antoni a Colloredo
il 10 maggio 1945
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