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Indice "Compaesani da ricordare"
  
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   

   
 
   
   
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LUIGI D'ANTONI (Bulo)
Colloredo di Prato 1925 - San Daniele del Friuli 1945

Pubblichiamo un passo del romanzo autobiografico di Alfredo D'Antoni "Un ideale, una storia" scritto con Mirella Zomero e pubblicato nel 2012. Il frammento ricorda con emozione intatta il ritrovamento, da parte di Alfredo D'Antoni, della sepoltura del fratello nel Cimitero di San Daniele del Friuli.

* * *

       Venni a sapere che mio fratello, il 28 aprile, era rimasto ferito a Farla di Maiano, mentre con il suo gruppo cercava di contrastare la ritirata dei Cosacchi e dei Tedeschi che provenivano da Fagagna. Portato di nascosto perché partigiano all'ospedale di S.Daniele, lì era stato abbandonato, lì era deceduto.

       A chi rivolgermi per saperne di più? Non c'erano carabinieri. Anche se ci fossero stati, non sarei mai andato a chiedere informazioni di un partigiano scomparso alle forze che avevano sostenuto il fascismo. In quei giorni di confusione totale, i Comuni, come istituzione, erano implosi.
       Il podestà era sparito. Non c'era alcuna autorità, solo qualche impiegato.
       Forse il parroco di S.Daniele poteva aiutarmi, perciò mi recai da lui. Gli chiesi se alla fine di aprile aveva celebrato un funerale. Il parroco, che presagiva il motivo di quella domanda, mi rivolse uno sguardo serio e mesto: "Alla fine di aprile mi hanno chiamato in gran segreto nell'ospedale, a benedire cinque salme di persone a me sconosciute. Tra queste c'era un giovane. Mi colpì la sua faccia da ragazzo e un piccolo ciuffetto bianco che si intravvedeva a malapena tra i folti capelli neri che gli incorniciavano la fronte. Portava al dito un anello".
       Si allontanò un attimo e ritornò tenendo tra le mani un cerchietto di acciaio con le iniziali "L.D": l'anello che mio fratello con il tornio aveva ricavato da una moneta quando era allievo alla scuola motoristi a Venezia.
       Una pugnalata al petto. Dentro di me maledii il duce, Badoglio, il re e tutti quei disgraziati che avevano scatenato quella guerra assurda e infame, che aveva causato tanti lutti e spezzato tante vite innocenti .

       Come dirlo a mia madre che a quel figlio aveva fatto da madre e padre? A mia madre che aveva passato notti insonni sapendolo braccato, al freddo, affamato? A mia madre che aveva fatto sacrifici immensi per allevarci?.
       Mi feci prestare un camion dalla SFE e con alcuni compagni di lavoro mi recai nel cimitero della cittadina collinare. Prima però passai in Comune per avvertire che dovevo fare una riesumazione. Un impiegato mi rispose: "Non comandate voi adesso? Fate pure quello che volete".
       Ero emozionatissimo. Chiuso in quel recinto con davanti tutte quelle croci e lapidi mi sentivo soffocare. Mi sembrava impossibile che mio fratello fosse lì nel regno della morte, mentre fuori era scoppiata la primavera, allegoria della vita che rinasce. Mio fratello doveva vivere, era giovane, perché tutto questo? Perché tanti morti per conquistare la libertà che dovrebbe essere un diritto inalienabile di ogni uomo?. Quando stavo per essere sopraffatto dalla commozione, risentii nelle orecchie il ritornello doloroso di mia madre:
       "Portami a casa chel frut".
       Raccolsi le forze e lasciandomi guidare solo dalla fredda ragione, organizzai il lavoro. Sui cinque tumuli che racchiudevano le salme sepolte da poco, nessuna iscrizione che potesse darmi una informazione sulle persone sepolte. Bisognava scavare. La terra era ancora tenera, non si era sedimentata. Una badilata dietro l'altra in pochissimo tempo arrivammo alla prima cassa. Aiutandomi con il piccone feci un pertugio nel coperchio trattenendo il fiato, sbirciai dentro ...no, non era mio fratello. Ricoprimmo la buca. Il cuore batteva così forte che sembrava volesse uscire dal petto. Iniziammo lo scavo della seconda sepoltura. Arrivati alla bara, ripetei l'operazione e rabbrividii vedendo che si trattava di una donna.
       Nessuno parlava. Le probabilità di trovare mio fratello adesso aumentavano e io, anche se non lo lasciavo intravedere, avevo paura, paura di scontrarmi con la cruda realtà.
       Iniziammo lo scavo della terza sepoltura. Quando, tastando con la pala, sentii il rumore sordo del legno, chiesi di essere sostituito. Lasciai continuare un mio amico il quale, riportato alla luce il coperchio, vi praticò un' ampia fessura all'altezza della testa, poi uscì dalla fossa e mi aiutò a scendere.
       La tensione si poteva tagliare con il coltello. Mi inginocchiai sulla bara, lentamente chinai la testa su quello squarcio e come un lampo mi apparve quel ciuffetto grigio così familiare. Chiusi gli occhi e trattenni a fatica un urlo di disperazione.
       Per un attimo rividi Luigi bambino, sempre attaccato a me come fossi il suo papà. Lo rividi giovane partigiano, determinato, coraggioso come nostro padre. Vederlo lì, con i suoi diciannove anni, cereo, freddo, immobile, fu una visione insostenibile.
       Non riuscii a riportarlo in superficie come volevo e chiesi ai miei compagni di farlo per me. Una volta la bara fuori dalla buca, la caricammo sul camion e la trasportammo nelle scuole di Colloredo dove venne allestita la camera ardente.

     

       La tragica fine di mio fratello Luigi fu un colpo mortale per la mamma che iniziò ad accusare vari malesseri. Un dolore malcelato ed infinito si impossessò di lei e l'accompagnò per il resto della vita.
       Ancora alcuni anni dopo, in un cimitero vuoto e solitario, la videro abbracciata al freddo marmo, accarezzare la foto di Luigi e tra le lacrime gridare:
" Puar el me frut, quanto male ti hanno fatto!."


 

 

 

 


Il funerale di Luigi D'Antoni a Colloredo
il 10 maggio 1945

   
* * *

Un altro brano dello stesso romanzo. Alfredo racconta l'estremo atto di coraggio del fratello Luigi, per proteggere la Sua famiglia.

       Mi trovai a fare la pratica di pensione anche per mia madre. Le spettava per il figlio caduto in servizio. Lotta partigiana. Necessitava un certificato di morte con ben specificata la causa del decesso, ragion per cui dovetti recarmi a S.Daniele, nell'ospedale. Una volta espletata la pratica, prima di rientrare, mi prese un forte desiderio di sapere come erano stati gli ultimi istanti di vita mio fratello. Qualcuno aveva pur dovuto averlo visto morire. I suoi compagni di nascosto lo avevano portato ferito in ospedale e lì lo avevano abbandonato.
       Ma com'era morto? Chi lo aveva assistito? Aveva sofferto?.
       Risalii le scale e mi portai verso il reparto di chirurgia indicato da una freccia. Trovai una suora, minuta, non tanto giovane con un volto dolce. Mi ispirò subito fiducia. Un po' confuso e titubante per l'emozione mi avvicinai e le raccontai la storia di "Bulo".
       "Sorella, conosce qualcuno che sappia dirmi come è morto mio fratello?'"
       Con un leggero colpo di tosse, forse per confondere la commozione che la stava prendendo, si schiarì la voce e guardandomi negli occhi mi disse:
       "Alla fine di aprile ho assistito un ragazzo con gravi ferite al torace e nella zona addominale. Perdeva molto sangue. Teneva gli occhi chiusi. Gli ho chiesto inutilmente di dirmi il suo nome. E' morto portando il suo segreto con sé. In tasca aveva "questo" e mi mostrò un piccolo taccuino che teneva in un cassetto. Nel taccuino c'era una carta di identità con la foto di Luigi, ma con tutti i dati falsi.

       Caro fratello, che lezione di coraggio mi hai dato con quel silenzio che doveva mettere al riparo da rappresaglie la tua famiglia, i tuoi compagni ! Non hai avuto neanche il grande conforto di sapere che il tuo sacrificio e quello di tantissimi giovani come te non è stato vano. Poco dopo il tuo decesso è arrivata la libertà, parola sacra che tutti dovrebbero onorare e difendere.

Alfredo D'Antoni - Un Ideale, una storia (a cura di Mirella Zomero), 2012, Lithostampa
(riproduzione autorizzata dall'autore)

 

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