Il Paese e la sua Storia

    

   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   

   

   

   
   
  
IL RESTAURO DEL CIPPO DEL BEATO BERTRANDO A BONAVILLA - Note storiche su Bertrando di San Genesio
     

La teca che conserva il corpo del Beato Bertando nel Duomo di Udine

Duomo di Udine, Arca del Beato Bertrando, che conservò le spoglie del patriarca fino al 1965


IL BEATO BERTRANDO - di Mario Turello

Il 6 giugno 1350, sulla piana della Richinvelda, in prossimità del guado sul Tagliamento, la comitiva di Bertrando di San Geniès, dal 1334 patriarca d’Aquileia per nomina di Giovanni XXII, di ritorno in Friuli da Sacile, fu sorpresa da un gruppo di feudatari nemici, guidati da Enrico di Spilimbergo. (NDR: uno degli aggressori, Ermanno di Carnia, è ritratto nella chiesetta di Santa Caterina a Pasian di Prato)

Nello scontro il novantenne Bertrando rimase ucciso e il suo cadavere fu trasportato a Udine su un carro; compagne del suo ultimo viaggio due meretrici. Grande fu l’impressione di quella morte violenta, a Udine soprattutto, sua sempre fedele città d’elezione. Iniziava (o meglio riprendeva) la “laboriosa fine” del Patriarcato: esattamente settant’anni dopo la morte di Bertrando, il 6 giugno 1420, i Veneziani entrarono in Udine.

Come scrive Giordano Brunettin, il governo bertrandiano era stato «l’estremo tentativo di scongiurare il decorso negativo inscritto nell’evoluzione delle strutture dello stato aquileiese imprimendole una svolta che la conducesse verso la formazione di un principato centralizzato affine per organizzazione e per forme di governo allo Stato della Chiesa»; la morte di Bertrando segnò la fine del sistema “burocratizzato” da lui instaurato e il ritorno, col suo successore Niccolò di Lussemburgo, al vecchio modello di dominio personale puntellato sulla potenza personale.

Non è questo il luogo per una ricognizione storica della vigorosa azione di Bertrando principe e vescovo sullo scenario interno e internazionale, alle prese con i conflitti intestini delle fazioni friulane e con le minacce di annessione di piccole e grandi potenze finitime, e spesso in contrasto con la mutevole diplomazia papale. Basti dire che, se il suo conterraneo (di Cahors, nel Quercy) Jacques Duèse, papa Giovanni II, l’aveva eletto (senza che questo escluda moventi nepotistici, per legami forse parentali) dopo aver per lunga prova conosciuto e apprezzato in lui l’abilità diplomatica, la competenza giuridica, lo zelo pastorale, Bertrando da patriarca esercitò le sue virtù con straordinaria energia, contemperando il lavorio politico e l’impegno militare con la sollecitudine per l’economia, la cultura e l’organizzazione della metropoli ecclesiastica aquileiese.
Più pertinente in questo contesto è ripercorrere le tappe della sua entrata nella leggenda di cui il cippo di Bonavilla – rustico monumento di appropriazione del luogo della morte del Beato - è un significativo tassello. Interpretata la sua morte come martirio per la libertas ecclesiae (non senza accostamenti a san Lorenzo e a san Tommaso Becket), sull’onda di una devozione che presto vide fiorire miracoli intorno alla sua tomba, Bertrando fu trasfigurato da un’agiografia tanto sincera che strumentale, se il principale promotore della sua santificazione fu l’immediato successore Niccolò di Lussemburgo.

Nella memoria collettiva, nell’immaginario popolare, il formidabile principe fu sostituito dal pio pastore, dal martire, dal taumaturgo, utile a consolidare l’incerto potere del nuovo patriarca e a vieppiù giustificare la micidiale rappresaglia nei confronti degli uccisori del “martire” e dei loro complici.

Sepolto dapprima sotto una lastra terragna davanti all’altare maggiore della cattedrale di Udine, nel 1353 il suo corpo trovato incorrotto fu collocato (ma si dovettero tagliare i piedi) nella splendida arca marmorea che egli stesso aveva destinato alle presunte spoglie di Ermacora e Fortunato: sostituzione/identificazione di forte carica simbolica. E Bertrando, i cui abiti insanguinati s’erano dimostrati reliquie miracolose, già era dichiarato santo dalla vox populi.

E i Veneziani, entrando in Udine, non mancarono di legittimare la dedizione della città come provvidenziale e dovuta all’intercessione del santo del cui martirio proprio quel giorno cadeva l’anniversario; fu poi il patriarca Francesco Barbaro, alla fine del Cinquecento, il primo a chiedere a Clemente VII di autorizzare il culto del beato, allora più che mai connotato come vescovo esemplare, secondo il modello di santità impersonato all’epoca da Carlo Borromeo. A metà del Settecento, in occasione dell’erezione dei vescovadi di Udine e Gorizia, la richiesta di approvazione canonica del culto (che fu concessa da Benedetto XIV nel 1756, ma senza riconoscere il martirio) coincise col radicarsi del mito della friulanità di Bertrando, ad opera soprattutto del canonico udinese Francesco Florio che nella sua vana lotta per mantenere in vita il Patriarcato fece di lui un campione dell’autonomia aquileiese.

Mito che perdura, ad esempio nel simbolo della Camera di commercio di Udine, in cui figura il patriarca: il che, osserva Andrea Tilatti nella sua misurata demitizzazione di Bertrando «può combaciare con la solerzia che Bertrando storicamente mostrò per la tutela dei traffici (lottando contro alcuni friulani dalla “testa dura”), ma di sicuro sottintende lo scopo di rifarsi a una personalità avvertita come schiettamente udinese e friulana».

E non mancano – aggiungo io - i segnali di altre appropriazioni, ideologiche e politiche, a riprova del fascino che la figura del grande patriarca francese ancora esercita, sì che ad essa ancora si ricorre, a proposito o a sproposito.
 

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