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Rosina Cantoni, alla nascita Rosa Maria, figlia
di Angelo Cantoni, tipografo, e di Maria Mos, ambedue di Paderno.
Quando Rosa nacque, il 25 luglio 1913, la madre gestiva un'osteria a
Pasian di Prato. Ma gli affari non andavano bene, e ben presto la
famiglia si trasferì a Udine. Una famiglia numerosa, con 10 figli,
dei quali Rosa era la penultima. In casa Cantoni
si leggeva molto, non solo libri di avventure ma anche giornali,
come l'Avanti!, e poi l'Unità, dato che il fratello Giovanni si era
iscritto al Partito comunista. E andavano anche, la domenica, al
Cinema Italia, presso la chiesa di San Cristoforo, dove la madre,
appassionata, portava lei e suo fratello Giovanni.
Nei primi anni Venti, quando le squadre d'azione fasciste
spadroneggiavano ovunque, anche la famiglia Cantoni fu perseguitata,
in particolare lo zio materno Pietro Mos, segretario della sezione
socialista di Paderno, che si nascose a casa loro. |
Anche il fratello Giovanni divenne un antifascista militante:
sfruttando il suo mestiere (era tipografo), stampava volantini da
distribuire clandestinamente. E aveva passione per la montagna,
passione che lo condusse alla morte nell'agosto del '28, durante
l'ascesa della parete nord del Bila Pec, del gruppo del Canin.
Rosa, dopo aver frequentato le elementari, andò
a fare apprendistato da una sarta, quindi ottenne un lavoro presso
l'industria d'abbigliamento Basevi; ma lì, come succede in genere in
fabbrica, non si riusciva ad acquisire veramente il mestiere; la
madre decise di farle far pratica in una sartoria di prima
categoria. Solo dopo aver acquisito una vera professionalità, la
fece ritornare da Basevi.
Con la guerra d'Etiopia (1935-36) il padre
perse il lavoro: la tipografia aveva deciso il trasferimento in
Abissinia e lui non se l'era sentita di abbandonare la famiglia. E
senza lavoro rimase anche il fratello Otello: solo saltuari impegni,
rilegare libri il primo, intagliare casse da morto il secondo. Rosa
contribuiva, con piccoli lavori a domicilio nelle pause che la
fabbrica le permetteva.
Poi con le leggi razziali (1938) anche Rosa
perse il lavoro perché il proprietario (Basevi era ebreo) fu
costretto a chiudere. L'anno dopo la fabbrica fu riaperta con altro
nome, e Rosa fu riassunta.
Con la guerra, l'antifascismo latente che
caratterizzava la famiglia, divenne, dato il catastrofico corso
degli eventi, palese e consapevole: quando il giorno del suo
trentesimo compleanno (25 luglio 1943) il regime crollò, Rosa in
fabbrica non esitò a fare a pezzi davanti alle operaie il ritratto
del Duce che giganteggiava sulla parete dello spogliatoio delle
operaie.
Dopo l'8 settembre, gli antifascisti che
stavano organizzando la Resistenza presero subito contatti con Rosa:
la sua famiglia dava garanzie sicure e c'era bisogno di ragazze che
aiutassero, garantendo la sopravvivenza degli uomini che già
salivano sui colli alle spalle di Udine.
Il primo a cercarla fu Periz,
che la mise in contatto con Virginia Tonelli. Insieme
a lei e ad altre coraggiose partigiane divenne staffetta delle
Brigate Garibaldi portando ovunque in regione ordini e documenti,
armi e quanto serviva ai partigiani della montagna: un lavoro
fondamentale per la Lotta di liberazione, perché forniva alla
Resistenza quei servizi (intelligence, sanità, collegamenti e
circolazione delle informazioni) che negli eserciti moderni sono
svolti da corpi altamente specializzati.
Era nata così la partigiana “Giulia”,
e il suo lavoro fu subito considerato tanto importante che Mario
Lizzero
la convinse ad abbandonare il posto in fabbrica: la federazione del
Pci di Udine avrebbe provveduto alle necessità della famiglia con un
contributo.
Il 16 dicembre 1944, “Giulia” fu arrestata dai
fascisti della “Tagliamento”,
mentre, con i mutandoni allacciati alle caviglie ripieni di
materiale di propaganda, si avviava all'appuntamento con un giovane
partigiano. Fu interrogata dai fascisti, quindi, in via Spalato
dall'interprete del comando SS di Udine Kitzmüller. L'11 gennaio
1945 fu deportata a Ravensbrück. Come successe a quasi tutti i
deportati, fu poi trasferita in vari altri campi, secondo le
esigenze dell'industria bellica tedesca. Affrontò anche quella fase
che i deportati ricordano come “marce della morte”, l'assurdo e
tragico girovagare da un punto all'altro della Germania negli ultimi
giorni per evitare l'avanzata da ogni fronte degli alleati
occidentali e dei sovietici. In quell'occasione Rosa riuscì, con
altre deportate, a fuggire. La liberazione la colse nella zona di
occupazione russa, il che significava un ritorno in Italia
ritardato. Arrivò infatti a Udine il 27 ottobre 1945.
L'esperienza sconvolgente dei campi di
concentramento segnò la vita di tutti i reduci dalla deportazione,
talvolta con conseguenze tali da minare la salute fisica e psichica;
ma “Giulia” seppe razionalizzare il suo vissuto di deportata in
maniera straordinaria, come è visibile nelle interviste rilasciate
agli storici prima, e nel numero altissimo di lezioni fatte poi
davanti a migliaia di studenti delle scuole di tutto il Friuli, per
cui la sua figura divenne popolarissima e amata da tantissimi
giovani.
Per lei andare nelle scuole era diventata la sua missione
“politica”, perché i giovani dovevano sapere, perché altrimenti
sarebbe potuto accadere di nuovo.
Nel dopoguerra Rosa tornò a lavorare da Basevi,
fino al 1965; quindi fu segretaria di Mario Lizzero, che era stato
eletto alla Camera dei deputati. Contemporaneamente si impegnò nella
CGIL, nell'UDI (Unione Donne Italiane), nell'ANED (Associazione
nazionale ex deportati).
Fu consigliera al Comune di Udine.
E poi la
pensione, che le offrì la possibilità di portare ovunque la sua
testimonianza preziosa, fino alla fine.
Morì a Udine il 28 gennaio 2009, circondata
dall'affetto di tanti amici e di tanti, tanti giovani.
Note biografiche a cura di
Flavio Fabbroni
A Rosina Cantoni, "Giulia",
l'attrice e autrice teatrale Aida Talliente ha dedicato una
straordinaria piece teatrale intitolata "Sospiro d'Anima", che ha
riscosso grande successo in tutta Italia e unanimi consensi da parte della
critica teatrale.
Sul sito web comunale è possibile
visualizzare un lungo frammento
dello spettacolo di Aida Talliente.
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